Storia
Cornus - Columbaris
Dalla rivolta del 215 a.C. fino a circa il 700 d.C. si hanno notizie di Cornus, prima come citta' fenicia e dei sardi sconfitti in battaglia dai romani, sotto cui divento' colonia, poi come sede episcopale a Columbaris.
[40] Et in Sardinia res per T. Manlium
praetorem administrari coeptae, quae omissae erant postquam Q.
Mucius praetor gravi morbo est implicitus. Manlius navibus longis
ad Carales subductis navalibusque sociis armatis ut terra rem
gereret et a praetore exercitu accepto, duo et viginti milia
peditum, mille ducentos equites confecit. Cum his equitum
peditumque copiis profectus in agrum hostium haud procul ab
Hampsicorae castris castra posuit. Hampsicora tum forte profectus
erat in Pellitos Sardos ad iuventutem armandam qua copias augeret;
filius nomine Hostus castris praeerat. Is adulescentia ferox temere
proelio inito fusus fugatusque. Ad tria milia Sardorum eo proelio
caesa, octingenti ferme vivi capti; alius exercitus primo per agros
silvasque fuga palatus, dein, quo ducem fugisse fama erat, ad urbem
nomine Cornum, caput eius regionis, confugit debellatumque eo
proelio in Sardinia esset, ni classis Punica cum duce Hasdrubale,
quae tempestate deiecta ad Baliares erat, in tempore ad spem
rebellandi advenisset. Manlius post famam adpulsae Punicae classis
Carales se recepit; ea occasio Hampsicorae data est Poeno se
iungendi. Hasdrubal copiis in terram expositis et classe remissa
Carthaginem duce Hampsicora ad sociorum populi Romani agrum
populandum profectus, Carales perventurus erat, ni Manlius obvio
exercitu ab effusa eum populatione continuisset. Primo castra
castris modico intervallo sunt obiecta; deinde per procursationes
leuia certamina vario eventu inita; postremo descensum in aciem.
Signis conlatis iusto proelio per quattuor horas pugnatum. Diu
pugnam ancipitem Poeni, Sardis facile vinci adsuetis, fecerunt;
postremo et ipsi, cum omnia circa strage ac fuga Sardorum repleta
essent, fusi; ceterum terga dantes circumducto cornu quo pepulerat
Sardos inclusit Romanus. Caedes inde magis quam pugna fuit.
Duodecim milia hostium caesa, Sardorum simul Poenorumque, ferme
tria milia et septingenti capti et signa militaria septem et
viginti. |
Cap. XL
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L'ultimo tentativo di Cartagine di riconquista della Sardegna, concretizzatosi nell'invio nell'Isola di una flotta di 60 navi con un esercito, si spense nelle due grandi battaglie campali del 215 a.C. e nell'estrema difesa della rocca di Cornus, espugnata infine da T. Manlius Torquatus.
La storiografia isolana, sin dal Rinascimento, ha analizzato sulla scorta delle fonti letterarie antiche, gli eventi bellici del 215 a.C, enfatizzando spesso il ruolo svolto dai Sardi1. Più avvertita la critica storica moderna che ha offerto una valutazione obiettiva degli avvenimenti sardi.
Come è noto la narrazione dei fatti militari in questione è affidata essenzialmente al XXIII libro delle Storie di Livio, risalente nei relativi passi a Polibio; infatti non apportano ulteriori elementi di conoscenza le brevi notizie di Eutropio, Velleio Patercolo, Orosio e Zonara sugli avvenimenti sardi del 215 a.C. né sono desumibili con certezza dati storici dai versi dei Punica di Silio Italico dedicati agli episodi militari del 215 a.C.
[...]
Livio asserendo che Cornus fu il caput eius regionis, della regio cioè della prima battaglia, ed, inoltre, il receptaculum ai fuggiaschi del definitivo proelium dimostra di considerare Cornus centro della rivolta antiromana. In un passo successivo Livio chiarisce che vi erano aliae...civitates quae ad Hampsicoram Poenosque defecerant punite da T. Manlius Torquatus, prima di rientrare a Carolis. Evidentemente le civitates apertamente ostili a Roma devono considerarsi, insieme, a Cornus,i centri punici dell'Oristanese, Tharros ed Othoca con i rispettivi territorio.
[Alle idi di marzo del 215 si dovevano avvicendare i pretori]
Nel contempo a Cartagine giunse una legatio clandestina di principes delle civitates sardopuniche, ispirata da Hampsicora, che per auctoritas e per opes era il maggiore dei principes del territorio sardo in rivolta. La legatio presentò un quadro dettagliato della situazione nell'isola: l'esercito di stanza era di ridotte proporzioni (forse una legione); l'esperto propraetor. Cornelius Mamulla, dopo due anni di permanenza in Sardegna, stava per lasciare la provincia e si attendeva il nuovo praetor; inoltre i Sardi erano stanchi della diuturnitas del dominio romano, che aveva loro riservato, nell'anno appena trascorso, un pesante tributum, forse identificabile nelle contribuzioni esatte da A. Cornelius Mamulla alle civitates sociae, cui si aggiunse la recentissima imposizione di un duplex tributum decretata dal senato ed una iniqua conlatìo di grano. Mancava ai Sardi solo un auctor cui affidarsi e la rivolta sarebbe scoppiata. Si stabilì di seguire [il partito che era per operazioni in Sardegna ed a supporto di Annibale], forse, come si è detto, non contro il parere dello stesso Annibale.
[...] La roccaforte della ribellione sarda appare, nella narrazione liviana, Cornus.
La città, fondata forse da Cartagine, al principio del proprio dominio in Sardegna, agli inizi del V sec. a.C., è considerata interna da Tolomeo.
Conseguentemente possiamo supporre che le origini della città si inquadrino nel sistema di fortezze che Cartagine costituì nell'isola a difesa dei propri interessi economici.
Cornus dovette assolvere alla funzione di tutela del prossimo territorio campidanese e forse delle miniere di ferro minacciate dalle incursioni dei populi indigeni del Montiferru e del Marghine.
La città si estendeva su un vasto altopiano calcareo, livellato da colate basaltiche, dai fianchi verticali, denominato «Campu'e Corra». Il ciglio dell'altura era protetto da una cinta muraria con torri, costruita in opera poligonale.
All'estremità occidentale del pianoro era localizzata l'acropoli (colle di Corchinas), collegata all'abitato da uno stretto istmo naturale.
Gli accessi principali alla città erano due: uno a Nord (Iscala 'e Campu 'e Corra = via d'accesso al Campu 'e Corra) e l'altro a mezzogiorno. Le profonde vallate di due corsi d'acqua (Riu Sa Canna e Riu sa Coa de s'Ambidda, rispettivamente a Nord e a Sud dell'altopiano) costituivano, infine, due fossati naturali di difesa della città.
Risulta difficoltoso comprendere il ruolo primario assunto da Cornus rispetto a Tharros e Othoca, città di origine fenicia, prospere e assai bene fortificate, nella rivolta del 215 a.C, se non ammettendo che sin dal periodo tardo punico quella città avesse assunto una posizione militare predominante.
Benché non si possegga al riguardo una documentazione diretta, può ritenersi che anche a Cornus sopravvivesse agli albori del dominio romano nell'isola l'ordinamento cittadino di tipo punico.
Indizio indiretto della persistenza di questa struttura politica punica nelle civitates che suscitarono la rivolta del 215 a.C. (Cornus, Othoca, Tharros, ecc.) è riscontrabile nella menzione di principes che costituirono la legatio clandestina a Cartagine. [...]
Si trattava in sostanza dei membri più influenti del senato cittadino, che potevano avere rivestito la carica di sufeta.
Hampsicora era, il primus di questi principes, secondo una formula che non pare riferirsi ad una condizione giuridica precisa. Ignoriamo, infatti, se Hampsicora fosse cittadino di Cornus e vi esercitasse una magistratura.
Il carattere di primus dei principes delle varie civitates ribelli sembrerebbe, comunque, convenire ad un personaggio che assunse, in circostanze di emergenza, un ruolo extramagistratuale, quale quello di dux Sardorum, eventualmente votato dai senati cittadini.[...]
Il figlio di Hampsicora, Hostus, benché adulescens, era a capo delle forze sardopuniche in assenza del padre, secondo la prassi punica che restringeva la gestione politica e militare a pochi gruppi familiari.
[...]
Giunse dunque T. Manlius Torquatus, forse nel giugno (meno probabilmente nel luglio) 215 a.C, nel porto di Carolis. Nella città sarda ricevette dal praetor Q. Mucius Scaevola, ancora infermo, l'esercito presente in loco, costituito da una legione e da un contingente di socii latini, al quale unì la legione ed i socii che aveva trasportato da Roma e gli stessi marinai, convenientemente armati.
In testa ad un esercito di 22.000 pedites e di 1200 equites T. Manlius Torquatus marciò verso Nord, lungo la piana del Campidano, nell'ager dei socii del popolo romano, quindi entrò nel territorio delle civitates ribelli (in agrum hostium), identificabile forse nella regione dei Campidani di Simaxis, Maggiore e di Milis, pertinenti ad Othoca e Tharros, ponendo l'accampamento non lungi da quello di Hampsicora, in quel momento sotto il comando del figlio Hostus, in quanto Hampsicora si era recato nelle regioni montagnose del centro a guadagnar proseliti alla causa della rivolta presso i Sardi Pelliti, le comunità non urbanizzate della Barbaria a prevalente regime economico pastorale e caratterizzate nel vestiario dalla mastruca.
La prima battaglia del bellum si combatté nella regio di Cornus. Hostus, non rendendosi conto della disparità delle forze in campo (diverse migliaia di effettivi sardopunici contro 23200 uomini dell'esercito romano) attaccò per primo battaglia ma fu sconfitto e posto in fuga, lasciando sul campo 3000 sardi e quasi 800 prigionieri.
[...]
Il bellum pareva terminato con la vittoria dei Romani che rinunziarono ad inseguire i fuggiaschi sardopunici, quando T. Manlius Torquatus fu raggiunto dalla notizia che la flotta punica che recava un esercito cartaginese, una volta terminate le riparazioni delle navi nelle Baleari, si accostava alla Sardegna. La stessa informazione era già stata ricevuta da T. Otacilius che forse la trasmise a T. Manlius Torquatus, non riuscendo comunque ad intercettare la flotta se non dopo lo sbarco delle forze militari nell'Isola.
L'approdo avvenne sulla costa occidentale, distante circa 315 Km dalle Baleari (corrispondenti a due giorni e due notti di navigazione), in un porto prossimo a Cornus, forse a Tharros o nella Cala su Pallosu.
Il comandante dell'esercito punico Asdrubale il Calvo, sbarcate le truppe e rimandata a Cartagine la flotta, si unì ai duces sardi Hampsicora ed Hostus, che disponevano degli effettivi sardopunici scampati alla prima battaglia e delle truppe degli indigeni (Sardi Pellitì) raccolte da Hampsicora: in totale forse meno di 20.000 effettivi.
Manlio era rapidamente retrocesso a Carolis in quanto temeva che la flotta punica, in corso di avvicinamento all'isola, potesse occupare Carolis. Avviatosi lungo la piana del Campidano l'esercito di Asdrubale ed Hampsicora, lasciatosi alle spalle il territorio alleato (forse l'erger di Othoca che si spingeva sin verso S. Anna di Marrubiu, ad 80 km a nord di Carolis), si diede a devastare l'ager dei socii del popolo romano, quindi, come si è visto l'ager Caralitanus e, forse, l'ager Neapolitanus, con l'obiettivo di raggiungere Carolis.
T. Manlius Torquatus si mosse tempestivamente contro i Cartaginesi ponendo termine alla devastazione.
Gli accampamenti, allora, furono disposti a breve distanza.
Dapprima si ebbero degli scontri delle truppe d'avanguardia con varia fortuna per entrambi i contendenti.
Infine si scese a battaglia; vennero levate le insegne e si combatté per quattro ore un proelium iustum, secondo i precetti dell'arte militare. Gli eserciti dovevano quantitativamente equivalersi: attribuendosi lievi perdite ai Romani nel corso della prima battaglia, potremmo supporre per l'esercito romano oltre 20000 pedites schierati al centro con due ali di equites, per un totale di poco meno di 1200 cavalieri. Lo schieramento dell'esercito sardocartaginese prevedeva, probabilmente, le truppe leggere dei Sardi Pelliti al centro, a protezione della fanteria punica ed alle ali circa 1500 cavalieri.
I Sardi, non avvezzi a combattimenti regolari, soccombettero assai rapidamente ad opera di un'ala di cavalleria, mentre i Cartaginesi resistettero a lungo, ma vennero, a loro volta, vinti; allora il ritorno offensivo dell'ala che aveva annientato i Sardi sorprese alle spalle i SardoPunici e i Cartaginesi, che, chiusi in una morsa, furono massacrati.
Si contarono sul campo di battaglia 12000 morti tra Sardi e Punici tra cui lo stesso figlio di Hampsicora, Hostus; 3700 furono i prigionieri, tra cui l'imperator Asdrubale ed i nobiles Carthaginienses Hanno, auctor della rivolta e Mago, il congiunto di Annibale, e si conquistarono 27 signia militaria nemici.
Hampsicora, fuggito alla morte in battaglia con un modesto stuolo di cavalieri, si uccise nel cuore della notte dopo avere appreso che anche il figlio Hostus era tra i caduti.
La dovizia di particolari sulla tattica della battaglia può far sorgere il dubbio che la stessa narrazione sia legata ad uno schema teorico piuttosto che all'effettivo modo di svolgimento del combattimento.
Purtroppo Livio tramanda un unico dato inerente alla topografia del luogo della seconda battaglia del 215 a.C. Il combattimento avvenne nell'ager dei socii del popolo romano, dunque nel Campidano, ma non nelle immediate vicinanze di Carolis, in quanto T. Manlius Torquatus si mosse per tempo ad arrestare le devastazioni di Hampsicora.
Autori del secolo scorso e gli stessi falsari delle ottocentesche Carte d'Arborea opinavano che la battaglia si svolgesse nel Campidano centrale, in territorio di Sardara. Il Taramelli riteneva, invece, che il combattimento avvenisse «verso i limiti dell'agro di questa (Carolis), cioè a Sanluri od a San Gavino», in base al passo liviano relativo agli avvenimenti immediatamente successivi la battaglia: "quam (Cornus) Manlius Victor, exercitu adgressus intra dies paucos recepit".
Secondo il Taramelli «questi pochi giorni di marcia dell'esercito vincitore, (...) sono appunto quelli necessari per una rapida, ma ordinata avanzata del campo della pugna, che supponiamo verso Sanluri, a Cornus, tre o quattro tappe almeno, pochi adunque, ma necessari per coprire la distanza di circa 40 miglia [in realtà circa 50 M.P.]».
L'acuta interpretazione del Taramelli risulta comunque legata ad una delle due possibili letture del brano liviano: infatti la determinazione temporale intra paucos dies può essere riferita sia a adgressus, sia a recepii.
[...]
I superstiti della battaglia del Campidano, privati di tutti i loro comandanti, guadagnarono la rocca di Cornus, ben fortificata, come è documentato dal termine receptaculum, adottato da Livio, e dai resti archeologici.
T. Manlius Torquatus inseguì i rivoltosi fino a Cornus, cingendo d'assedio la città ed infine, espugnandola.
È possibile, ma non dimostrabile, che i proiettili da catapulta «di pietra vulcanica e (...) di pietra calcareoarenaria», rinvenuti nel secolo scorso a Corchinas e nel Riu sa Canna al piede settentrionale dell'acropoli di Corchinas, siano attribuibili a catapulte disposte lungo il perimetro delle mura di Cornus, per resistere, vanamente, all'assedio di T.Manlius Torquatus. La città di Cornus venne, forse, distrutta ed i fundi del suo territorium trasferiti coattivamente dai veteres possessores, compromessi nella rivolta del 215, a nuovi conduttori.
Le altre civitates che avevano defezionato da Roma diedero ostaggi e si consegnarono.
T. Manlius Torquatus impose a ciascuna comunità una contribuzione in danaro (stipendium) ed in frumento in rapporto alle responsabilità nella rivolta ed alla prosperità delle civitates.
La notizia che chiude la narrazione liviana del bellum Sardum del 215 non è accettabile nella sua integrità: T. Manlius, restituitosi a Carolis, avrebbe reimbarcato l'esercito sulle navi, insieme ai prigionieri, al danaro ed al frumento; giunto a Roma avrebbe consegnato il grano ai quaestores, il frumento agli aediles ed i prigionieri al praetor urbanus Q. Fulvius Flaccus.
In realtà l'esercito dovette essere lasciato in Sardegna a disposizione di Q. Mucius Scaevola, come desumiamo dai dati sulle due legioni presenti nell'isola durante gli anni successivi.
Ciononostante le vittorie romane del 215 a.C. in Sardegna furono definitive in rapporto alle civitates costiere e T. Manlius Torquatus, ritornato a Roma, potè annunziare ai senatori Sardiniamque perdominatam.
(da Raimondo Zucca - Cornus e la rivolta del 215 a.C. in Sardegna)
Nel caso di Cornus, anche se non si conosce ancora la struttura e la sequenza spaziale della città di età romana e imperiale, si ha una sufficiente conoscenza dell'area cimiteriale, della basilica funeraria e del complesso episcopale. La necropoli appare organizzata lungo una strada secondaria che permetteva il collegamento tra la via costiera, la Tibula-Sulci, e l'insediamento più interno di Gurulis Nova identificato con l'attuale abitato di Cuglieri. La necropoli, probabilmente riferibile alla primitiva comunità cristiana, avrebbe rioccupato un precedente impianto termale nella località Columbaris; impianto riferito ad una villa residenziale non nota ancora nella sua estensione topografica, ma ipotizzata sulla scorta del materiale residuo ritrovato negli interri della basilica e della necropoli. La fase originaria della necropoli è stata riferita alla prima metà del IV secolo d.C. ed è caratterizzata da diverse tombe scavate direttamente nella roccia calcarea, ma anche da altre tipologie di inumazione - sepolture in anfora e alla cappuccina - coerenti a questa fase per forme e materiali. Lo spazio funerario fu successivamente monumentalizzato mediante la creazione, alla fine dello stesso secolo, di una basilica a navata unica. Una modifica che portò ad una nuova organizzazione dell'area che venne suddivisa al suo interno in terrazzi degradanti verso ovest e verso l'edificio di culto. Tra la fine del V e la prima metà del VI secolo, fu costruito un ampio complesso episcopale formato da due edifici affiancati: una basilica a tre navate, con abside canonicamente orientata ad est, e una seconda aula, di minori dimensioni, destinata alla liturgia battesimale. In questo stesso periodo la precedente basilica funeraria fu sottoposta ad una modifica nelle strutture per facilitare il collegamento con il complesso episcopale mediante alcuni passaggi coperti. Alla medesima fase costruttiva sono stati assegnati diversi mausolei funerari collegati direttamente con la struttura cimiteriale originaria. Questa intensa attività edilizia è stata messa in relazione con la presenza in Sardegna dei vescovi africani ortodossi obbligati all'esilio dai Vandali di fede ariana. Una correlazione anche in ragione dell'identificazione con Cornus della sede principale della diocesi di Senafer che, come già detto, fu rappresentata dal vescovo Bonifacio al concilio di Cartagine del 484. La vasta articolazione di fasi dell'area cimiteriale e la sua successiva trasformazione in complesso episcopale ha certamente spinto la ricerca verso una possibile contestualizzazione sincronica e diacronica con il quadro insediativo civile, localizzato, ma non indagato sistematicamente, sul colle di Corchinas ad ovest del complesso funerario. Qui sono segnalati i resti di un abitato di origine punica, su cui si riconosce una sovrapposizione del centro romano, del quale è stata identificata l'area forense nella porzione occidentale dello stesso pianoro. Un'organizzazione topografica e urbanistica, tuttavia, intuita solo in ragione della dispersione nelle aree indicate del materiale - ceramica, blocchi squadrati, resti di statue - e sulla presenza dei profili murari di alcuni complessi edilizi mai sottoposti a specifiche indagini archeologiche. Un limite che, a nostro avviso, non consente di accogliere senza problemi e perplessità la tesi di una "profonda" ristrutturazione di tutto l'impianto urbano nel corso dell'alto medioevo «in rapporto alla nascita di una sede episcopale suburbana che fungerà da fulcro di attrazione dell'insediamento e da una contrazione dello spazio urbano di età imperiale, a causa, forse, dell'insicurezza dei tempi». Per ultimo proprio in questo senso PierGiorgio Spanu, ampliando quanto avevano già ipotizzato Letizia Pani Ermini, Annamaria Giuntella e Raimondo Zucca, ha giustamente ribadito la necessità di una rilettura di tutta l'area per verificare l'organizzazione topografica e monumentale del colle che mostra i segni di un'intensa occupazione, ma per il quale non è da escludere la presenza di un castrum. L'ipotesi troverebbe alcune conferme nella corrispondenza dell'uso delle medesime tecniche costruttive, caratterizzate da materiale di spoglio, in diversi paramenti murari presenti sulla cima, ma anche dal ritrovamento di elementi materiali - monete e ceramiche - ascrivibili alla prima metà del VI secolo.
(da Franco Campus - Le strutture del territorio: dall'alto medioevo al periodo giudicale in Narbolia- Una villa di frontiera del giudicato di Arborea)